L'ALTRO SOCIALE
Decontenzione, esito civile della contenzione
Colloquio con il dottor Pietro Salemme, psicologo e psicoterapeuta
di Fidalma Filippelli
Parliamo oggi di contenzione, una pratica della psichiatria tanto taciuta quanto estrema. Il Dott. Pietro Salemme, psicologo e psicoterapeuta, ci conduce nei meandri del non detto istituzionale, spiegandoci subito il significato del termine. Contenzione vuol dire contenimento fisico a tempo di crisi eccitatorie altrimenti ingestibili. Ergo: laddove i familiari sono assenti o stremati ed i progetti comunitari falliti, il paziente psichiatrico in grave stato di eccitazione viene legato ai polsi ed alle caviglie nel suo letto al reparto dell’SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura ndr), per evitare che faccia del male a se stesso e ad altri. Può avvenire, in alcuni casi, che il paziente rimanga legato a lungo e che si sedimentino sulla sua persona timori irrazionali inerenti l’irriducibile pericolosità ed imprevedibilità. Fino al punto da considerare la decontenzione, cioè lo scioglimento dei legacci, un vero e proprio tabù, con ricadute negative sul decorso terapeutico della patologia. Viene così a gravare sul paziente la paralisi dell’equipe, del territorio e della famiglia, ovvero di un collettivo incapace di coltivare speranze di miglioramento.
Il Dott. Salemme ci racconta la sua esperienza di coordinamento di progetti di decontenzione atti a “liberare” gradualmente il paziente ed a sciogliere quei nodi insolubili relativi alle possibilità terapeutiche intessuti con le proiezioni negative del collettivo.
“Ho avuto la fortuna di partecipare a progetti avanguardistici di decontenzione, realizzati da appositi staff di operatori del privato sociale in collaborazione con le equipe territoriali dei Dipartimenti di salute mentale e con le equipe degli SPDC. Questi operatori sono coordinati e supervisionati da profili professionali senior. L’ideazione di un progetto di decontenzione rappresenta il momento fervido e cruciale in cui l’istituzione riflette sulle proprie pratiche secondo la migliore tradizione basagliana. L’interazione vivificante di varie equipe rompe il muro dell’impotenza e della disperazione e si riprende il caso di un paziente che è al contempo e paradossalmente noto e remoto nel reparto. Noto per la gravità del suo stato, remoto per la sfiducia riposta nelle possibilità di miglioramento. Le riunioni rappresentano un ottimo strumento per reinterrogarsi sul caso. E poi si parte. Gli operatori entrano in turnazione per familiarizzare col paziente. Le prime e decisive alleanze vengono costruite sui bisogni fisiologici primari e quasi dimenticati e si comincia a sciogliere il paziente per accompagnarlo in bagno, per consentirgli di mangiare o bere. L’osservazione del paziente e del contesto di cura sono fondamentali, ai fini di azioni terapeutiche e riabilitative mirate. La presenza condivisa si estende fino al reparto ed all’esterno in una costante opera di bonifica e riconquista degli spazi”.
Interrogativi
In psichiatria le prassi legate alla cura continuano ad essere impregnate di un passato manicomiale ingombrante. Un passato istituzional-totale fatto di ordine e disciplina estrema, di prevalenza dei fini contenitivi dell’alterità sui fini riabilitativi. La contenzione rappresenta, dal nostro punto di vista, una pratica borderline, estremamente ed eternamente vacillante sul confine incerto tra legalità ed illegalità. La base legale della contenzione è rappresentata dai casi in cui l’equipe si convince di non poter procedere diversamente. E tuttavia non possiamo fare a meno di chiederci, col Dott. Salemme, se il ricorso a tale strumento sia sempre strettamente limitato alla necessità oppure se non sia spesso frutto di un fallimento terapeutico. L’istituzione non è forse tentata, ancora oggi, dalla normalizzazione di pratiche estreme atte a placare i timori di un collettivo incapace di confrontarsi serenamente con la propria ombra? I dubbi sono leciti e tali da auspicare un fiorire di progetti di decontenzione che bonifichino gli spazi della salute mentale...
Articolo tratto da l'Altro quotidiano