L'ALTRO SOCIALE
Il progetto Kairos per rifugiati politici con disagio mentale
di Fidalma Filippelli
Incontriamo Luciano Rondine, responsabile del settore Immigrazione per la Cooperativa Sociale Aelle il Punto, nel suo ufficio del Centro Zurla di Roma. In questa struttura d’accoglienza convenzionata col Comune vivono 8 famiglie di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da ogni angolo del pianeta. Ma la nostra attenzione è focalizzata oggi sull’innovativo Progetto Kairos, destinato a rifugiati politici con disagio mentale e di cui Luciano Rondine è coordinatore. I finanziamenti arrivano dal ministero dell’Interno ed il circuito è quello dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati ndr). Lo SPRAR, per intenderci, è costituito da una rete di enti locali che accedono al Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo per realizzare progetti di accoglienza integrata.
Dottor Rondine, qual è il ruolo del Terzo Settore nel circuito a rete dello SPRAR?
“ Il Terzo settore offre, a livello territoriale, un preziosissimo supporto con interventi di accoglienza integrata che vanno ben al di là del semplice vitto ed alloggio e spaziano dall’informazione all’accompagnamento, dall’assistenza legale al supporto pedagogico-educativo ed all’orientamento, dalla riabilitazione all’inserimento socio-economico attraverso progetti personalizzati. Nello specifico caso del Progetto Kairos, la Cooperativa Aelle il Punto ha “esportato” la propria competenza trentennale nel campo della riabilitazione psichiatrica ed il proprio modello comunitario al settore dei rifugiati con disagio mentale”
Com’è nato il Progetto Kairos?
“Nel 2009 è stata avviata dallo SPRAR una sperimentazione su 3 progetti di accoglienza per rifugiati con disagio mentale. La Cooperativa Aelle il Punto ha partecipato, in partenariato col CIR (Consiglio italiano per i rifugiati ndr), ad uno di questi progetti. Al successivo bando, grazie all’esito delle esperienze pilota, Aelle il Punto ha ottenuto dal Comune di Roma l’affidamento triennale della gestione di 6 posti letto per rifugiati con disagio mentale. E’ nato così nel 2010 il Progetto Kairos, che scade alla fine quest’anno. Si tratta di un progetto di fatto tuttora sperimentale, per 6 dei 50 posti letto destinati a livello nazionale ai rifugiati con disagio mentale. Su un totale di 3000 posti per i rifugiati e richiedenti asilo amministrati nel nostro paese dall’ANCI…”
Una goccia nell’oceano del bisogno, mi verrebbe da dire…E’ l’esiguità dei numeri che rende Kairos un progetto di fatto sperimentale?
“In realtà Kairos è un progetto sperimentale perché si colloca in una terra di nessuno. Nella popolazione dei rifugiati la questione della salute mentale è connotata da una specificità e complessità cui i servizi psichiatrici territoriali non sono in grado di rispondere adeguatamente per varie ragioni: 1) il livello di complessità è oggettivamente alto; 2) c’è una generale carenza di risorse e competenze, che in questo momento storico è drammaticamente aggravata dallo smantellamento dei servizi sociali; 3) per affrontare l’ostacolo maggiore, che è quello della lingua, sarebbe necessaria la presenza di mediatori culturali ad ogni colloquio, ma purtroppo raramente i servizi sanitari dispongono di tali figure. Lo SPRAR ha optato per il tentativo di affrontare la questione su un versante sociale piuttosto che sanitario, evitando sconfinamenti di sorta”
Posto che il disagio mentale è sempre una questione complessa, che cos’è che rende il disagio mentale dei rifugiati una questione particolarmente complessa?
“La salute - e di conseguenza il disagio - si iscrive nei codici culturali di appartenenza, in misura talmente radicata da rendere le nostre metodologie inefficaci rispetto a culture altre. Differenti sono le culture, le lingue, le interpretazioni della malattia all’interno di diversi ordini di significato e differenti sono le pratiche della cura. La prima e decisiva operazione che possiamo e dobbiamo fare è la contestualizzazione, ovvero la sospensione del giudizio onde evitare il rischio di pensare ed imporre la nostra cultura come superiore. L’etnopsichiatria e la psicologia transculturale sono esempi di discipline che facilitano l’approccio a partire dalla contestualizzazione culturale, ma non abitano né nei servizi né nelle università, purtroppo….”
Chiaro. In concreto come funziona il Progetto Kairos?
“Kairos prevede una struttura residenziale protetta nelle 24 h per 365 giorni l’anno. I posti sono 6 e sono occupati da persone con disagio mentale segnalate dallo SPRAR, i cui casi vengono di volta in volta valutati dall’equipe interna del progetto. Gli utenti di Kairos sono perlopiù persone sopravvissute a traumi, torture e violenze estreme, che necessitano pertanto di una presa in carico specifica e strutturata, che il sistema di accoglienza tradizionale non è in grado di fornire per i motivi che ho innanzi spiegato. C’è un’equipe multidisciplinare, pluriculturale e plurilingue composta da educatori, medici-operatori e psicologi, cui si affiancano dei mediatori culturali, che lavora per realizzare un’accoglienza terapeutico-riabilitativa finalizzata al recupero del senso del sé ed all’inserimento sociale e lavorativo”
Mi farebbe un profilo dell’utente tipo del Progetto Kairos?
“L’utente tipo è un giovane di 25 anni cui è stato diagnosticato un disturbo post traumatico da stress e che nonostante le vicissitudini ed il disagio di cui è portatore ha una carica di vitalità e motivazione a farcela fuori dal comune. Vorrei sottolineare il potenziale stressogeno e destabilizzante dell’iter legale previsto per l’ottenimento dello status di rifugiato. In un quadro generale di disagio psichiatrico acuto l’incertezza relativa al buon fine della pratica legale può acutizzare e di fatto acutizza il malessere esistenziale”
Articolo tratto da l'Altro quotidiano