L'INTERVISTA
Antonietta Lo Scalzo di "Aelle il Punto"
Tagli alla spesa sociale i danni e le risposte
di Fidalma Filippelli
Quanto e per quali aspetti hanno inciso sulla spesa sociale i tagli apportati nel bilancio del nostro paese? Abbiamo voluto affrontare l'argomento con con un’esperta del settore, la dottoressa Antonietta Lo Scalzo, presidente della Cooperativa Sociale "Aelle il Punto", che opera da oltre 30 anni a Roma nel campo della riabilitazione psichiatrica. E la dottoressa Lo Scalzo ci ha subito snocciolato dei dati che vanno dritti al cuore del problema: «Le preoccupazioni per i tagli alla spesa pubblica - premette - in realtà affliggono il mondo del sociale e del sanitario non da oggi ma dal 2008, a causa di un graduale e drastico assottigliamento che ha oramai toccato la quota dell’80%. Le cooperative si sono attivate da tempo per evidenziare il problema ed io personalmente ho sempre ritenuto opportuno sensibilizzare i soci di "Aelle il Punto" rispetto ad una realtà con la quale, volenti o nolenti, tocca fare i conti. Una ricerca del Centro Studi SIC Sanità in cifre, aggiornata alla manovra correttiva del luglio 2011, ci fornisce numeri davvero allarmanti: il fondo statale per le politiche sociali è sceso dai 929 milioni del 2008 ai 273 milioni del 2011, le risorse per la famiglia sono passate da 346 a 51 milioni, quelle per le politiche giovanili da 137 a 12 milioni, mentre il fondo per l’affitto è stato progressivamente ridotto da 205 a 32 milioni. I finanziamenti per l’infanzia, l’inclusione degli immigrati e la non autosufficienza sono stati addirittura quasi azzerati. Complessivamente la spesa statale sociale è crollata, nel triennio 2008-2011, da 2,5 miliardi a poco più di 500 milioni all’anno».
Più che di tagli questi numeri parlano di una resa del welfare statale
Un aspetto tragico della questione è dato dal fatto che questi tagli incidono ed incideranno sulle fasce più povere della società. I restringimenti approvati nel 2010 sono stati applicati nel 2011 e quelli del 2011 pesano sul 2012, abbattendosi sui servizi offerti ai settori fragili della popolazione. I posti di lavoro sono già stati e continueranno ad essere ridotti con i servizi, è inevitabile. Tuttavia la nostra reazione di contrasto non può limitarsi allo slogan “resistere, resistere”, come se bastasse aspettare che il peggio passi. E’ un atteggiamento che non condivido per il semplice motivo che rispecchia una mancata consapevolezza delle caratteristiche e delle dimensioni della crisi. Questa crisi è una crisi che va scandagliata con lucidità per poter essere governata.
Che cosa intende di preciso?
E' noto che nei momenti di crisi il disagio si acuisce e si manifesta in varie forme. Il mondo cooperativistico deve attrezzarsi - e di fatto si sta attrezzando - per rispondere con un’offerta adeguata ai nuovi bisogni, i quali emergono in forme embrionali e non si esplicitano ancora in maniera compiuta. Noi della cooperazione sociale siamo radicati da sempre sul territorio ed abbiamo il mandato speciale di agire e favorire la trasformazione sociale, traducendo i bisogni in servizi ancor prima che tali bisogni si palesino sotto forma di domanda consapevole, chiara e diretta.
Si ha l'impressione che quest’ operazione pionieristica di progettazione di un’offerta che precede la domanda possa richiedere interventi a vari livelli per poter essere realizzata
E’ proprio così. La lungimiranza, l’impegno, la professionalità e la passione che caratterizzano la cooperazione sociale sono senz’altro un prerequisito fondamentale che va ad innestarsi su una base territoriale. Occorre ripartire dal territorio per ricostruire e sviluppare un welfare socio-sanitario saldamente radicato a livello locale. Non bisogna dimenticare che la cooperazione sociale porta nel proprio dna un forte legame col territorio e persegue i propri obiettivi a partire da una comunità di persone, dal loro contesto culturale e relazionale. Di conseguenza, i cittadini devono essere sensibilizzati e coinvolti per riavviare un motore sociale ad oggi sonnolento, il cui carburante non può che essere la solidarietà inquadrata nella più ampia cultura del sostegno alle fasce deboli della popolazione. Penso ad una “rete-benessere” atta a tutelare il “bene salute” e formata da istituzioni, privato sociale e cittadini che operino in nome dei vecchi e desueti valori della solidarietà sociale.
Non si corre in tal modo il rischio di rifugiarsi nelle rassicuranti conquiste del passato per “resistere” ad una crisi che è invece del tutto nuova?
No, io sono fermamente convinta che il riposizionamento della cooperazione sociale sui valori della solidarietà sia tanto più attuale quanto più centrato sulla qualità degli interventi-servizi. Noi della cooperazione sociale siamo abituati ad agire con finalità pubbliche a sostegno del pubblico; proprio per questo possiamo interloquire con il servizio pubblico rinnovando le forme della collaborazione, con lo scopo comune di escogitare modalità alternative e strategiche di utilizzazione e valorizzazione di risorse divenute scarse. Laddove la crisi è disgregativa, urge ricompattare il sociale intorno a valori e forme aggregative d’incontro e di scambio che stimolino una progettazione adeguata e propositiva. Per poter tagliare tale traguardo è tuttavia necessaria un’evoluzione del rapporto tra istituzioni e cooperazione sociale. Nel 2011 la cooperazione sociale ha compiuto un passo in avanti significativo con la creazione dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, che raccoglie in sé le tre anime della cooperazione cattolica, laica e liberale, con l’obiettivo di rappresentare in maniera unitaria gli interessi del settore nei confronti del governo, delle istituzioni europee e delle parti sociali. Il 2012 è l’anno internazionale delle cooperative e la cooperazione sociale è pronta a giocare un ruolo attivo nel superamento della crisi, attraverso la ricostruzione di una società solidale che catalizzi il riorientamento “intelligente” della spesa pubblica.
Articolo tratto da l'Altro quotidiano